Annunciazione dipinto Leonardo da Vinci 1472-1475 ca olio e tempera su tavola 98x217 cm Le uniche notizie certe che si hanno in merito all’Annunciazione attribuita al giovane Leonardo sono la data, 1867, in cui l’opera fu portata via dalla sagrestia della chiesa fiorentina di San Bartolomeo a Monteoliveto per essere trasferita agli Uffizi dove oggi è tutt’ora esposta. In passato la critica aveva assegnato la tavola a Domenico Ghirlandaio, tavola che è ricordata da Domenico Moreni nel 1793, in una descrizione del refettorio del medesimo monastero di San Bartolomeo una “SS. Annunziata del Ghirlandaio”. Non c’è nessuna comunicazione su chi ne sia l’artefice dunque, a parte questa piccola affermazione, su chi l’abbia voluta e su quando sia stata dipinta; non si hanno neanche informazioni relative al luogo per il quale era stata compiuta, anche se grazie alla scoperta di due studi preparatori, uno conservato al Louvre e riferibile al panneggio della veste della Vergine, l’altro, con il braccio destro dell’angelo ora al Crist Church College di Oxford, si è definitivamente accolta l’attribuzione del dipinto a Leonardo. Curiosamente dunque, non esiste nessun riferimento all’opera prima del 1793, e la causa sarebbe forse da imputare al fatto che fosse collocata in un posto dove i remoti descrittori della città di Firenze e dei suoi contorni, potevano non essere entrati. Le sue dimensioni ridotte, non conformi a quelle proprie delle pale d’altare, fanno presumere che questa non fosse collocata sull’altare della chiesa, ma in un luogo diverso. Anche Vasari, attento indagatore delle vite degli artisti del tempo, pur narrando con dovizia di particolari della partecipazione di Leonardo al Battesimo di Cristo di Verrocchio, non fa nessun cenno a una personale prova del talentuoso fiorentino destinata a San Bartolomeo a Monteoliveto, luogo in cui l’aretino essendo intimo amico don Miniato Pitti (come dichiara lo stesso Vasari nella sua autobiografia) era verisimilmente stato diverse volte dato che lo stesso don Pitti in quel luogo dimorò e ne fu anche abate. La critica in passato, aveva ipotizzato, proprio sull’Annunciazione, che le difficoltà incontrate dal giovane Leonardo rappresentassero il motivo delle mancanze e degli errori rappresentati nella tavola, facendo riferimento, ad esempio, al muro del palazzo a sinistra dei personaggi, coperto proprio sullo spigolo dall’acuminata chioma che apre il corteo dei cipressi. Si notava che il muro fosse troppo corto e le brugne troppo grandi per un tratto così breve di parete; altre imperfezioni erano state indicate nella maniera in cui era stato rappresentato il leggio che risulta allineato sull’asse del vano della camera e dunque troppo avanzato rispetto a Maria, e così distante da lei da costringere a evoluzioni fisiche il suo braccio destro, che per conseguenza pare mal concepito e come lussato in più punti. Queste giuste puntualizzazioni però non sono da imputar e a ingenuità o incapacità del giovane artista, ma, piuttosto, al fatto che quasi certamente la tavola preveda un punto di vista privilegiato diverso da quello frontale che i visitatori odierni del museo sono soliti praticare. Leonardo dunque potrebbe aver concepito la scena sapendo che questa non sarebbe stata vista frontalmente, ma da destra e magari un po’ dal basso. Se si prova invece idealmente a disporsi in un luogo che consenta questa tipologia di visione, improvvisamente si noterà che la facciata dell palazzo si allungherà e che sia il tratto verso il cielo (con le bugne di sbieco che peraltro ora s’accorciano), sia quello con la finestra; la cui mostra in pietra serena non andrà più a battere, col suo profilo verticale, sul margine esterno delle bugne più lunghe che riquadrano la porta. Ci s’accorgerà che il leggio arretra e s’avvicina di molto a Maria; che il braccio destro di lei s’abbrevia fino ad assumere una postura naturale; e infine che l’attitudine di Gabriele (tutto proteso, prima, in uno sforzato allungamento) si ricompatta, come conviene a chi stia inginocchiato e compia un cenno di saluto. Ma poi anche la lettura ne guadagnerà; giacché, solo sistemandosi a destra della tavola, si consentirà all’occhio di recuperare quell’equilibrio di masse che, nella visione frontale, risulta invece compromesso dalla presenza (in un sol blocco) del palazzo possente, del corpo di Maria dilatato dai panni e del robusto leggio. È solo stando sulla destra che lo sguardo - come si conviene - percepirà nella Vergine (incontrandola per prima) la vera protagonista della scena; mentre, ponendosi proprio di fronte all’Annunciazione, si resterà come catalizzati dalla folgorante apertura di paesaggio marino e montano che si spalanca esattamente al centro del quadro, di lì reclamando un’attenzione quasi esclusiva; un’attenzione che solo in parte sarebbe giustificata dalla valenza simbolica che - come si dirà in seguito - è plausibile le competa. E se davvero, conforme alla congettura che qui si va proponendo, la tavola fu dipinta in funzione d’un punto di vista privilegiato, quelle che paiono incongruenze o titubanze potrebbero trasformarsi in espedienti compositivi, addirittura brillantemente escogitati: in un gioco d’aggiustamenti ottici che non credo paia astruso ipotizzare abbia eccitato la fantasia d’un artefice già per indole predisposto alla trascrizione sistematica di osservazioni empiriche. Quasi per forza torneranno alla mente gli esperimenti anamorfici che Leonardo praticò in differenti stagioni della sua vicenda d’artista. Tramanda il Lomazzo nel suo Trattato la memoria di due pitture del Vinci eseguite con un espediente prospettico diverso dall’usuale: una zuffa fra un drago e un leone, e una scena di cavalli. Il Lomazzo inserisce questa notizia nel contesto d’un brano in cui vuole insegnare “il modo di eseguire lungo la parete di un portico una pittura”, che possa apparire perfetta nelle forme e nelle proporzioni solo da un determinato punto di vista, al di fuori del quale la pittura ha un aspetto deforme e incomprensibile”. “Leonardo – ha scritto Carlo Pedretti, decano dei leonardisti – ha studiato queste applicazioni di prospettiva come una pratica necessaria al pittore quando deve dipingere su una superficie irregolare o comunque disposta in una posizione che presenta un punto di vista obbligato”. Allora la mia proposta è quella di scorgere proprio nell’Annunciazione uno dei primi saggi concreti degl’interessi vinciani nei riguardi dei problemi posti dall’osservazione non frontale di figurazioni bidimensionali. Non errori, dunque; semmai - addirittura – virtuosismi. Considerazione, questa, che dovrà esser tenuta presente quando si voglia formulare una congettura sull’ubicazione originaria dell’Annunciazione leonardesca. Della tavola, ad esempio, si potrebbe ora supporre un’ubicazione in uno di quei preziosi rivestimenti lignei di stanze nobili; alla cui lettura doveva risultare perfino indispensabile il presupposto proprio d’un punto di vista privilegiato; d’un luogo preciso, cioè, da dove guardare l’insieme. E mi pare d’averlo dimostrato quando m’è occorso di ragionare dei dipinti della celebre camera Borgherini e della necessità di riconsiderare, proprio sulla base dei punti di vista che le scene dipinte esigevano, la sequenza delle tavole maggiori inserite nel fornimento progettato da Baccio d’Agnolo, sulla metà del secondo decennio del Cinquecento: questa, che vi mostro, è una delle due scene figurate dal Granacci per quella stanza magnifica; e vi si vede un edificio a pianta ottagonale, che, se osservato frontalmente, tracolla da un lato, mentre si ricompone se ci si colloca sulla sinistra rispetto alla tavola. Se si ammette che all’Annunciazione vinciana possa convenire una collocazione nel contesto d’un fornimento ligneo, resterebbe pur sempre da appurarne l’originaria ubicazione. Purtroppo, per le ragioni che si son dette, mi sembra che il dubbio venga un po’ a minare la fiducia che il luogo sia San Bartolomeo a Monteoliveto. Peccato; perché esiste un appiglio documentario che avrebbe potuto confortare la congettura d’una collocazione della tavola di Leonardo in un ambiente del cenobio olivetano. C’è una carta del 1470 che ricorda un pagamento, “per parte del lavorio del refettorio e chapitolo” di San Bartolomeo, al legnaiolo Antonio di Niccolò da Colle. È evidente che la notizia è di quelle che possono contare, giacché lascia aperta la possibilità che gl’interventi d’Antonio di Niccolò, nella sala capitolare e nel refettorio, non si siano limitati a tavoli, panche e stalli, ma abbiano riguardato l’intero rivestimento delle stanze, nel cui contesto avrebbe potuto esser compreso anche qualche inserto dipinto, messo a impreziosire i vani. Ipotesi tanto più plausibile se si pensa che son proprio questi gli anni in cui a Monteoliveto si fa opera di rinnovamento e d’abbellimento. E son gli stessi tempi a cui si data l’Annunciazione di Leonardo.
cronologia degli spostamenti 1) ? Chiesa e monastero di San Bartolomeo 2) 1866 Galleria degli Uffizi 3) 1940 Villa medicea di Poggio a Caiano, deposito 4) 1940 Eremo di Camaldoli 5) 1945 Galleria degli Uffizi, deposito 6) 1948 Galleria degli Uffizi